mercoledì 20 gennaio 2010

Vi dovreste vergognare

È venerdì primo gennaio, prime ore del pomeriggio. Il sole, complice l’allungamento progressivo delle giornate, è ancora alto in via Montagna Spaccata, lingua d’asfalto muta nel silenzio metropolitano d’inizio anno. La sto percorrendo in auto quando m’imbatto in un enorme ammasso di rifiuti, sacchetti bianchi e colorati di ogni foggia, zeppi come uova marce, satolle, di rifiuti indifferenziati. Accanto a questa mole impressionante di munnezza cinque cassonetti di cui il primo pieno fino all’orlo, un cartone che straborda ma null’altro e gli altri quattro vuoti, lindi desiderosi di ingoiare gli avanzi dei pantagruelici cenoni e pranzi di vigilia e Capodanno.

Ci si domanda quanto mangino i Pianuresi in questi giorni di festa, quante pance lievitino sempre più, incuranti di obesità e malattie correlate quali, diabete, cancro, cardiopatie varie. Pienamente inseriti in questo scenario surreale e tragico d’imbarbarimento e decadenza dei costumi scorgo due uomini di circa quaranta anni, uno di altezza media e con la barba, l’altro alto, smilzo, capelli corti e brizzolati, entrambi in tuta che lanciano festanti due sacchetti ciascuno, zeppi di avanzi come se ci si trovasse in una porcilaia di fronte a maiali avidi e famelici. Essi procedono con fare sprezzante, noncuranti e forse inconsapevoli di violare una precisa ordinanza sindacale che vieta il conferimento dei rifiuti prima delle 20:00 e soprattutto l’abbandono degli stessi in spazi diversi dai contenitori predisposti all’uopo.

Mi fermo, faccio marcia indietro, abbasso il finestrino e urlo loro con una certa veemenza: vi dovreste vergognare, avete trasformato questa strada in una cloaca inguardabile e maleodorante, siete degli incivili, vi dovreste vergognare. Quello di più bassa statura, capelli ricci, con la barba, incassa il colpo, dice scuotendo le spalle e le braccia “eh vabbè non è successo nulla di grave”, finge indifferenza ma il mio acuto spirito di osservazione mi permette di notare che le mie decise imprecazioni gli procurano un certo turbamento che lui cela malissimo con il suo fare apparentemente noncurante. L’altro mi riconosce, mi si lancia contro e con due balzi e scatto felino supera l’ampia e lercia aiuola che ci separa e in pochi istanti è a pochi metri dalla mia macchina. Mentre io continuo a ripetere con urla via via sempre più crescenti la frase “vi dovreste vergognare” che come un martello risuona nelle sue tempie rese fragili dai bagordi mangerecci, il nostro incomincia a inveire contro la mia persona, a profferire insulti irripetibili, di cui il signore, se sarà identificato, dovrà rispondere in tribunale. Leggo nei suoi occhi torvi, resi spaventosi dalla rabbia divenuta incontrollabile, l’intenzione fin troppo manifesta di nuocermi seriamente. Capisco di essere in serio pericolo, ingrano la marcia, mi allontano con la massima velocità con l’auto. Il nostro, ormai impotente, raccatta la prima cosa che gli viene a tiro, una bottiglia di plastica vuota e me la lancia contro in un ultimo, scriteriato sfogo liberatorio.

Termino la mia folle corsa ringraziando la dea bendata che questo signore non abbia avuto nelle mani una pietra, altrimenti chissà quali pericolose conseguenze avrebbero comportato il suo insano gesto. Torno sul luogo del delitto, noto che i due figuri s’inerpicano su per via Arcangelo Corelli, contrada Lupara: nome sinistro e mai più presago di ciò che sarebbe potuto accadere. Scorgo i loro profili imbronciati che imboccano la prima stradina a destra. Abbandono la scena del delitto, deciso a chiamare il 113 quando vedo baluginare in lontananza una volante dei carabinieri. Racconto loro l’orrore di cui qualche momento prima sono stato spettatore.

Decidiamo di portarci sul luogo del misfatto, li accompagno fino alla contrada un tempo ridente, adesso ammasso informe di palazzi abusivi. Un senso di profonda vergogna di essere nato e di vivere in questa martoriata città s’impossessa della mia mente e un nodo in gola mi rende difficile la deglutizione. Ci domandiamo io e i rappresentanti dell’Arma quanta responsabilità abbiamo noi cittadini onesti e che paghiamo la Tarsu nel non isolare questa banda di delinquenti, nel non invocare la lotta agli evasori totali, che nella sola città di Napoli sono stimati nell’essere oltre 50000 il che significa una popolazione di 200000 persone circa su un totale di un milione, nel non denunciare i soprusi di cui rimaniamo ogni giorno vittime impotenti. Ho denunciato l’accaduto alle forze dell’ordine, alle associazioni di cui faccio parte, all’assessore alla municipalità Giorgio Lanzaro, all’ormai ex funzionario Asia, Guido Lauria, al partito per il quale collaboro, Italia dei Valori nella speranza che accadimenti così gravi e funesti non abbiamo più a ripetersi e che s’inverta questo spaventoso declino in cui chissà per quale irragionevole legge del contrappasso, siamo piombati.

[Crescenzo Mele]
da 'La Municipalità' del 01 2010