sabato 23 febbraio 2008

L’intervento dell’assessore al turismo e ai grandi eventi del comune di Napoli, Valeria Valente


L’intervento dell’assessore al turismo e ai grandi eventi del comune di Napoli, Valeria Valente pubblicato ieri sul giornale 'la Repubblica' contiene degli spunti a mio avviso assai interessanti e degni di nota. Esso è senza dubbio foriero di quello che spero diventi un dibattito serio, un confronto pacifico tra diverse e per certi aspetti opposte vedute ed esigenze.
L’assessore rivendica con un coraggio morale che occorre riconoscerle e che le fa onore la scelta di privilegiare la pulizia di quelle aree interessate dai grandi flussi del turismo a discapito delle periferie della città che da questi percorsi sono esclusi. E ciò per rilanciare l’economia cittadina che non potendosi piu’ basare sull’industria, specie dopo la dismissione del più grande impianto industriale cittadino, l’Ilva di Bagnoli, e disponendo di un patrimonio artistico, monumentale e museale tra i piu’ pregevoli del nostro paese, deve puntare sul turismo dato che esso è capace di ingenerare un indotto notevole che poi puo’ essere ridistribuito a tutti i napoletani, anche quelli che vivono nelle periferie cittadine.
Questo assunto però mi sembra solo in parte condivisibile e invece assai largamente censurabile.

Esso è figlio di quella cultura miope, provinciale, direi a tratti paesana che è tutta ascrivibile alla peggiore tradizione del pensiero prevalente della classe dirigente napoletana e piu’ in generale campana. Il centro della città diventa assimilato ad una vetrina, un luogo di esposizione e non di produzione di idee, dove mettere in bella mostra le opere di artisti e intellettuali a cui come accadeva nella Firenze rinascimentale dei Medici viene affidato dal committente politico lo specifico compito di incensare i pubblici poteri, di illuminare l’oligarchia partitica. Non è un caso che gli artisti preferiti siano Kosuth e Pistoletto con i loro neon, Tatafiore con i suoi persorsi di luce. Essa così facendo coltiva il sogno effimero ed illusorio di rendersi eterna e di perpetuare la propria progenie. Ma se nel capoluogo toscano del XV e XVI secolo operavano, grazie alla lungimiranza dei fratelli Lorenzo e Cosimo artisti del calibro di Michelangelo Buonarroti, Giorgio Vasari, il Bramante e il Donatello, a Napoli ci dobbiamo accontentare della spirale di Richard Serra a piazza del Plebiscito che qualche scugnizzo partenopeo con la saggezza popolare che da sempre appartengono al nostro popolo trasformò qualche anno fa in un gigantesco vespasiano.
Il decoro e la dignità di un intero popolo dunque affidato ad una Piazza che il monarca e i suoi cortigiani, come in una Versailles di no'antri, trasformano in un assurdo, surreale non luogo per la propria celebrazione e conservazione. Nella migliore delle ipotesi ci si può spostare di qualche metro fino a Piazza dei Martiri nei cui pressi c’è sempre Marinella che non è che può continuare a vendere le proprie cravatte a Carlo d’Inghilterra e al nostro caro, amato, capo dello Stato tra i cassonetti straboccanti di lerciume.
Posto che i beneficiari di questa politica di grandeur non sono in massima parte i cittadini delle periferie ma una cricca di intellettuali foraggiati dalle prebende del potere occorre ricordare che i nostri pubblici amministratori mi sembrano lontani dalla statura di poltici intellettuali del calibro di Jack Lang all’epoca di Mitterrand o André Malraux ai tempi di Georges Pompidou. Non vengono certo ricevuti, come per esempio accadeva all’autore dell’Espoir o della Condition Humaine, con lo stesso rispetto e deferenza nelle proprie sontuose dimore da una novella Jacqueline Kennedy per dare slancio e vigore ai loro progetti.
L’assessora dimentica che il rilancio economico di una città non può prescindere dalla salvaguardia del benessere psico-fisico di larghi strati delle popolazione, da sempre tagliati fuori dall’accesso alle risorse, dal godimento del diritto a vivere in un ambiente salubre e dignitoso. E’ chiaro che siamo lontani dall’adempimento di precisi obblighi e doveri che scaturiscono dal combinato disposto degli articoli 3 e 32 della Costituzione. E’ da sessanta anni che esso sancisce il diritto all’eguaglianza e alla salute e impone al legislatore e all’amministrazione pubblica l’obbligo di realizzarli. Occorrerebbe un giusto equilibrio tra i legittimi interessi di un settore vitale quale il comparto turistico della città e i sacrosanti diritti degli abitanti dei quartieri periferici quello che i francesi chiamano “juste milieu” e che i nostri politici napoletani hanno finora dimostrato di misconoscere o peggio ancora di voler scelleratamente trascurare.
Ma davvero l’assessore ha l’ardire di chiedere ancora ai cittadini delle periferie ulteriori sacrifici? Sono forse essi serviti, in passato, si vedano le cariche della polizia e i lacrimogeni contro la popolazione inerme quattro anni fa, quando ci si è opposti al sito di trasferenza provvisorio a Contrada Pisani, a risolvere gli enormi problemi causati dall’incompetenza, dalla sciatteria, dalla superficialità, dall’arroganza di questa classe dirigente? Quello che essa non vuole capire è che nelle periferie si annida un enorme disagio che non si è piu’ disposti a sopire e nascondere. Questa classe politica, contrariamente ai programmi dichiarati all’inizio di quel falso rinascimento strombazzato quindici anni fa e violentando la propria storia e le proprie origini, lungi dal riqualificare le periferie preferisce tenerle in un degrado spaventoso, trasformarle in un eterno ricettacolo di rifiuti non solo urbani ma anche immateriali, enormi discariche sociali che Roberto Saviano poche settimane fa, proprio sulle pagine di Repubblica, definiva “gonfie”, “marce”, “satolle”. Il tutto in un contesto in cui appare evidente un deficit democratico e un vulnus morale intollerabili, esecrabili, talmente gravi da intaccare la tenuta civile della società.
All’ assessora mi sentirei di consigliare, da privato cittadino, di stabilire un confronto serio tra associazioni e istituzioni per recuperare la fiducia nella politica ed uscire da questo penoso declino e non proclami unilaterali, poveri sul piano concettuale e morale, più consoni ad uno stato autoritario che ad una moderna, civile democrazia.

[Crescenzo]

3 commenti:

Vic ha detto...

Credo che le ragioni di chi vive in una napoletanità che non assurge ad area protetta, meglio non potevano essere esposte.
Complimenti!
Spero che molti possano riconoscere il proprio pensiero, in queste parole.

Anonimo ha detto...

Grande Crescenzo!
Non si può continuare a ragionare privilegiando l'economia al benessere dei cittadini.
Il livello di civiltà di una società si misura nell'attenzione verso "gli ultimi" ed in un'ideale classifica credo che l'Italia oggi sia parecchio in fondo.
Gustavo

mario ha detto...

Diceva mio Padre, scrittore storico napoletano, "Che una città senza periferia è un deserto".